Claudio Petito usa la bomboletta spray come un pittore che tiene tra le mani il pennello, non su una tela da colorare ma pareti dove esprimere un’idea, un’emozione. Semplicemente arte. La Street Art negli ultimi anni è diventata una forma artistica moderna riconosciuta a livello globale ed anche in Italia sono sempre di più i Comuni che si rivolgono agli artisti della bomboletta per colorare luoghi degradati attribuendogli una nuova veste. In aumento anche le mostre con un pubblico crescente che apprezza il lavoro degli artisti. Questa forma d’espressione si sta ritagliando il suo spazio lanciando anche messaggi socialmente rilevanti. Come nel caso di Claudio Petito quando ha disegnato il volto di Lino Apicella, il poliziotto ucciso dai ladri mentre era in servizio. Oppure quando nella sua città, Santa Maria Capua Vetere, ha raffigurato il volto di un bambino ucraino che piange per dire “no” alla guerra.


Claudio Petito Art. Chi è, la sua storia
«La mia famiglia ha origini napoletane ma già mio nonno si trasferì a Capua. Il cugino del mio trisnonno era Antonio Petito, la maschera napoletana. Io ho da sempre vissuto a Santa Maria Capua Vetere. Sono marito e padre. La mia passione per l’arte comincia fin da bambino quando scarabocchiavo i parati di papà. Ho frequentato il Liceo Artistico ma già alle scuole medie ho partecipato a concorsi di disegno e conservo ancora le medaglie e le coppe vinte a quei tempi. Ho proseguito gli studi laureandomi alla Accademia Delle Belle Arti e subito dopo – aggiunge Petito – ho lavorato a Cinecittà come scenografo per la trasmissione Ciao Darwin. La prima volta che ho preso in mano una bomboletta è stato nel 1994 quando c’erano i Mondiali. Nella zona della posta centrale di Santa Maria c’erano dei ragazzini che coloravano e io ne rimasi incantato. Da quel momento non mi sono più fermato».

Claudio Petito Art, la professione
«Dal ’99 inizia la mia professione soprattutto per privati. Disegni nelle camerette, cornetterie, pizzerie. A quei tempi chi faceva questo lavoro non era ben visto, negli ultimi tempi le cose sono cambiate. C’è un’idea diversa. Lavoro in tutta Italia, da Sud a Nord. Ho conosciuto anche dei calciatori del Napoli, persone dello spettacolo, youtuber. Ho lavorato anche per loro soprattutto con i ritratti. Per me è una passione, qualcosa che svolgo con il cuore. Con me hanno lavorato e ad oggi lavorano dei ragazzi con problematiche, li porto con me ad imparare. Il mio laboratorio per loro sarà sempre aperto. L’opera che mi ha dato più soddisfazione, perché l’ho sentita molto, è stata quella per Lino Apicella. La mia prima volta su una parete grande. Pasquale è morto lavorando, lo conoscevo, ci sentivamo qualche volta. Accettai il lavoro perché sentivo di farlo e la prima immagine che è apparsa nella mia mente è quella del figlio che chiede alla mamma come mai sotto casa sua c’erano tutte quelle auto della polizia. Non posso pensare – commenta Claudio Petito – che un figlio aspetta il padre che torni da lavoro e questa cosa non avviene perché ammazzato. Ci ho messo molto cuore, Pasquale lo sentivo come uno di famiglia».


Claudio Petito e la tecnica a mano libera
«Il mio lavoro significa imperfezione. L’arte è così. Non è mai precisa. Quando ho deciso di realizzare Maradona sapevo che avrei ricevuto delle critiche. L’ho rappresentato per come lo vedevo io, non quel Maradona perfetto, lineare, perché Maradona era un uomo imperfetto come lo siamo tutti noi. Lì andiamo a vedere il concetto di Maradona. Ognuno lo vede in un modo. Potevo usare un proiettore, lo mettevo vicino alla parete ed era bello, bellissimo. Quello a sensore per esempio porta delle fasce, non hai bisogno di calcolarti gli spazi, ti scompone l’immagine in 5/6 parti e man mano realizzi le varie parti. E’ più semplice così – aggiunge Petito – ma capisco anche che lavorare su pareti enormi non è facile. Sono tra i pochi ancora a lavorare a mano libera. A livello visivo quello realizzato col proiettore ti dà più il senso del reale ma poi se confronti questi artisti la differenza è minima. Sono più omologati. L’immagine però sarà sempre perfetta. Cambierà solo la colorazione. A mano libera ci sarà sempre una imperfezione. Io preferisco lavorare così, senza proiettore. Anche per il murale di Sant’Andrea è stato così».

Il rapporto con la sua città
«La città mi ha sempre dimostrato affetto e stima. Fino a quando non ho avuto un po’ più di notorietà. Lì è cambiato qualcosa. Ma non per tutti. Nel periodo in cui ho realizzato Maradona ho ricevuto acqua, caffè , saluti e apprezzamenti da tante persone. Ancora oggi mi fanno i complimenti. C’è stata però un po’ di cattiveria nei miei confronti. Io non sono nessuno e non voglio essere nessuno. Voglio essere il Claudio che le persone conoscono. Quello che sono e sono sempre stato. A volte sentirsi offeso gratuitamente fa male. Le critiche se sono costruttive mi insegnano a imparare ma quelle offensive no, ti possono mettere in crisi. Sono autocritico e credo che così si possa poi aspirare a fare sempre meglio. Se pensi di essere arrivato significa aver già perso. Io mi metto sempre in discussione. Sono felice di quello che faccio, non è semplicemente un lavoro. Mi piace. Come artista lavoro poco a Santa Maria, molto di più fuori regione. In tutta Italia. Da sud a Nord. A Santa Maria viene il privato, viene da fuori città e chiede di me».
